Il titolo La Dodicesima Notte allude già al vero protagonista e motore della commedia: il tempo. Dodici notti è l’intervallo tra Natale e l’Epifania, il periodo festivo per eccellenza nell’Inghilterra elisabettiana. Periodo è una parola che ha molti significati diversi nella lingua italiana, ma nello specifico allude a uno specifico tratto di tempo, che ha quindi un inizio e una fine. Recentemente ci siamo imbattuti in un periodo che ci dà un assaggio del sapore sospeso e amaro dell’intervallo di tempo: una quarantena. Le dodici notti, invece, hanno un sapore dolce e festoso, ma condito con un leggero veleno: quel tempo è straordinario ma destinato a finire. Il risultato è la spinta a sfruttarlo fino in fondo per realizzare i desideri che l’eccezionalità della festa promette di realizzare.
I personaggi di questa commedia hanno dunque fretta. Il duca Orsino ha fretta e aspetta troppo a lungo che Olivia accetti le sue offerte d’amore. La naufraga Viola ha fretta. Separata dalla tempesta da suo fratello gemello Sebastian, attende con ansia il momento in cui potrà liberarsi del suo travestimento e tornare ad essere una donna sotto l’ala protettiva di un uomo potente capace di amarla. Ha fretta Olivia, che dopo due lutti che l’hanno costretta alla solitudine vorrebbe conoscere un momento di vita e di gioia per i suoi ultimi anni di gioventù. Per questo, piuttosto che l’ostinato Orsino, preferisce il giovane paggio grazioso che le apre un orizzonte di novità e porta un vento diverso nella sua vita. Malvolio, il capo formale della famiglia di Olivia, ha fretta. Per salire nella scala sociale, non ha altra scelta che correre verso la trappola che gli fa intravedere la possibilità di sposare la sua amante. Tutti gli altri abitanti della casa hanno fretta, spinti da desideri sovrapposti: mettere le mani sulla fortuna della ragazza e punire Malvolio per la sua eccessiva rigidità e arroganza, organizzando un amaro scherzo che ha luogo al momento della festa e si concluderà con la sua conclusione. E i gemelli Viola e Sebastiano hanno fretta di trovare una nuova identità nel mondo che li separa.
Questo passaggio di tempo si incarna in una struttura simile a quella di un orologio rinascimentale. Il personaggio di Feste, il Matto, la cui filosofia si tinge di spleen e prelude alle riflessioni molto più complesse di Amleto, dà un movimento di carica e pausa alla messa in scena. È lui che mette in moto la tempesta iniziale da cui si sviluppa il giro del quadrante. I naufraghi si ritrovano spinti dalle onde sulle rive di un’Illiria che ha i colori del sogno o di una festa ubriaca dal sapore orientale. In omaggio a “quel che volete” del titolo, si mescolano materiali diversi e contaminati, accentuando la chiave onirica dello spettacolo che privilegia la confusione e l’ambiguità di genere in un libero gioco di sentimenti e azioni. L’onda del mare riecheggia nelle musiche e nelle danze che accompagnano il tempo della storia, scandito da dodici stazioni che ruotano nel corso del racconto. Dodici sedie occupano il palco, insieme a pochi oggetti di scena che definiscono ogni personaggio. Sono gli unici elementi che sostengono gli attori nella messa in scena, a parte i costumi, ai quali è affidato il compito di definire e amplificare l’atmosfera e il fascino del luogo: uno spazio della mente, dove elementi musicali e visivi eterogenei si incontrano in un “paese delle meraviglie”. I contatti fisici sono rarefatti, i movimenti sono altamente formalizzati e, come nei film di Bollywood, danze e corteggiamenti avvengono a rispettosa distanza.
Dalla tranquilla alba squarciata dalla tempesta e dal naufragio, il tempo ci accompagna in un viaggio sempre più accelerato verso una mezzanotte frenetica quando, come in tutte le favole, la festa finisce, i desideri si avverano – almeno in apparenza – e con le carte cambiate, il giro ricomincia.